Nell’era del maggioritario si è imposta l’informazione a confronto diretto, Tizio contro Caio, tesi contrapposte, e al lettore, o allo spettatore, l’onere della scelta. Succede alla fine delle campagne elettorali, ormai succede sempre, su tutto, dappertutto. Mano a mano che la logica di parte e la forza centrifuga dei due poli politici si imponevano, la corsa a schierarsi ha coinvolto sempre di più giornali, Tv ed elettori. Risultato: su ogni cosa, persona, programma, il giudizio è senza chiaroscuri, indispensabile o insopportabile, da condannare o da santificare. Questo crea una doppia fila di Martiri e di Inquisitori più o meno professionali, tutti però sempre sopra le righe, e certi della loro Verità.
Di più: questo scontro dalle tinte accecanti oscura tutto quello che c’è di meno vistoso, così come i sapori forti cancellano quelli più delicati. Opinioni, posizioni, partiti senza un elmetto adeguato, senza giornali dai toni gridati e dagli argomenti tosti, vengono relegati nelle retrovie. Il berlusconismo ha avuto come effetto collaterale la sua ombra, l’antiberlusconismo. Sempre più persone guardano programmi o leggono giornali perché già sono fedeli a una di queste due linee, e la applicano a ogni avvenimento o problema. Chi manifesta un dissenso, dall’una o dall’altra parte, finisce consegnato al disprezzo, al silenzio o alla lode strumentale degli avversari.
È quindi sbagliato il maggioritario? No di certo. È folle semmai il modo in cui la politica italiana l’ha fatto degenerare in bipolarismo militare, con tanto di coprifuoco informativo. Ognuna delle cose che accendono gli animi, anche in queste ore, si giustifica solo nel contesto impazzito del nostro Paese: si dice «da nessun’altra parte ci sarebbe un programma come Annozero», ed è vero. Ma è vero anche che da nessun’altra parte c’è un premier che oltre a tutto il resto possiede tre reti private e condiziona la gran parte del servizio pubblico, e da nessun’altra parte c’è un centrosinistra che nei 7 anni di governo non ha fatto nessuna legge contro il conflitto di interessi o per liberare la Rai dal controllo dei partiti, che evidentemente faceva comodo anche a lui. Come gli ubriachi, i nostri poli si tengono su l’un l’altro.
Come sapete, in questo paesaggio mi ritrovo molto poco: come giornalista soffro quando vedo tanti miei colleghi negare l’evidenza per sostenere una parte, o cercare la macchia in un gesto positivo dell’avversario, e parlare solo di quella. L’Unità che parla sempre male di Berlusconi e il Giornale che ne parla sempre bene sono facce della stessa medaglia. L’imbarazzante trasmissione di Raiuno sulla consegna delle prime case ai terremotati aquilani ha provocato inchieste e reportage nei quali sembrava che nulla fosse stato fatto nella ricostruzione. E quando in quello stesso programma Berlusconi ha chiamato farabutti una parte dei giornalisti italiani, nessuno dei giornalisti che partecipavano alla trasmissione ha trovato nulla da eccepire. Sudditanza o condivisione?
Così come, quando Santoro ad Annozero ha fatto notare che prima di lui nessuno aveva mandato in onda un’intervista alla D’Addario, i rappresentanti dei due schieramenti politici e giornalistici sono rimasti in silenzio: perché nessun Tg Mediaset l’ha intervistata? Ma anche: perché non l’ha intervistata, che so, il Tg3? C’è stato un ordine scritto o verbale? È stato accettato o subito? O più è stata autocensura? Qualcuno ne può parlare senza dover passare per eroe? E può raccontare qualche episodio in cui gli è stato impedito di fare liberamente il suo mestiere di informare?
È giusto e doveroso lottare per un’informazione libera, ma contemporaneamente bisogna saper dimostrare che non lo è, e che si è pronti a rischiare per averla. Se no, anche una protesta seria rischia di diventare l’ennesimo episodio della guerra infinita tra guelfi e ghibellini del maggioritario all’italiana.
MM